Quando la camorra sfilò al funerale bloccando una città
Quando il clan partecipò al funerale, bloccando un’intera città, sembrava una scena da fiction. Ma non lo era. Le immagini, diffuse da telecamere e social media, hanno documentato in diretta l’ostentazione del potere mafioso.
Rinaldi, alias “Occhiolino”, è morto in un incidente stradale sulla SS268. Con lui perse la vita una giovane ragazza. Ma chi era davvero “Occhiolino”?
Aveva avuto una giovinezza turbolenta e frequentava ambienti legati alla criminalità organizzata. Negli ultimi tempi disponeva di moto di grossa cilindrata e auto di lusso, spesso fornite da una concessionaria di Sant’Anastasia: Arco Rent, riconducibile ad Anastasio Raffaele, detto “Felice”, personaggio di spicco della camorra locale e referente dell’omonimo clan operante a Sant’Anastasia, con ramificazioni nei comuni limitrofi.
La concessionaria chiuse nel 2013, ma al suo interno rimasero numerose auto di lusso, utilizzate per il noleggio da noti pregiudicati dell’area Vesuviana.
Un funerale come dimostrazione di forza
Il funerale di Rinaldi è tornato sotto la lente investigativa per la folta partecipazione di volti noti della criminalità organizzata. Sebbene non in maniera ufficiale, l’intera organizzazione della cerimonia sarebbe stata curata dalla famiglia Lanzone, mentre la sfilata delle auto sarebbe stata gestita da Anastasio Felice. Persino la vettura coinvolta nel duplice incidente mortale, con alla guida Rinaldi, era in gestione ad Arco Rent, con sede in via Madonna dell’Arco 232, a Madonna dell’Arco.
Dalle immagini emergono presenze emblematiche: BUONOCORE FERDINANDO, alias “Bombolone”, arrestato nell’ultima operazione condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Castello di Cisterna, sotto il coordinamento della DDA di Napoli.
Buonocore è marito di Guardiglio Francesca, detta “a pazza”, sorella del defunto Guardiglio Giovanni, detto “‘o pazz” – un soprannome che ha lasciato il segno anche nei tatuaggi di molti pregiudicati del parco Fiordaliso: il numero 22, corrispondente nella smorfia napoletana proprio a “’o pazz”.
Guardiglio Giovanni fu assassinato il 26 dicembre 2012, all’età di 37 anni. Aveva precedenti per droga. Si narra che quel giorno fosse in compagnia di Lanzone Gaetano, pregiudicato con un passato vicino ai clan di Sant’Anastasia.
Lo stesso figlio del defunto Guardiglio è attualmente detenuto, anche la moglie del pazzo ha un cognome pesante D’Arti, il fratello Eugenio a capo del clan D’Atri già condannato all’ergastolo per l’uccisione di due imprenditori di Somma Vesuviana vittime innocenti.
Al funerale era presente anche LANZONE GAETANO con il figlio SALVATORE, anche lui arrestato di recente nell’ambito del blitz al parco Fiordaliso di Somma Vesuviana.
Ma la lista non finisce qui. Tra i partecipanti pezzi da novanta della camorra, tra cui:
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TERRACCIANO VINCENZO, alias “‘o sce sce”, più volte condannato per associazione mafiosa;
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ANASTASIO RAFFAELE, detto “Felice”;
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Esponenti noti del clan Mazzarella.
La camorra si mostra per mandare un messaggio
Perché tutta questa ostentazione? Il motivo è uno solo: dimostrare pubblicamente che la zona è sotto controllo, che c’è un’alleanza criminale ben definita tra i clan Mazzarella, Anastasio e De Bernardo.
Un messaggio visibile, chiaro, sfacciato. Una parata militare del crimine, che affonda le sue radici in dinamiche mafiose consolidate.
Oggi queste alleanze criminali emergono nelle 253 pagine delle ordinanze che hanno portato allo smantellamento di un’organizzazione operante tra Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, dedita a:
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traffico di droga,
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racket agli imprenditori,
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estorsioni e minacce con metodo mafioso.
La politica che finge di non vedere
Questa è la camorra vera. Non una scena di Gomorra, ma la realtà quotidiana, fatta di presenza sul territorio, intimidazioni, relazioni opache e negoziati nel silenzio.
Una realtà che troppi fingono di non vedere. In primis, la politica locale, che più volte ha negato la presenza della camorra e, in certi casi, ha persino cercato di screditare chi denuncia, chi documenta, chi racconta la verità scomoda.
A Somma Vesuviana si preferisce il silenzio, o peggio, l’ostilità verso chi rompe il muro dell’omertà.
Portare alla luce questi episodi non è solo un diritto, ma un dovere civico e morale. Per rispetto di chi subisce intimidazioni, di chi è vittima di racket, di chi sogna una terra libera dalla criminalità organizzata.
E finché ci sarà qualcuno pronto a scrivere, denunciare e raccontare, la camorra potrà forse sparare… ma non riuscirà a farci tacere.