Ha avuto luogo alla Camera, nella sala del Transatlantico, la squallida esibizione della borsa di Paolo Borsellino, asportata il giorno stesso della strage dalla macchina ancora in fiamme del magistrato, non da mani di appartenenti alla criminalità organizzata, ma da chi vestiva una divisa da carabiniere.
Quel giorno l’asportazione di un reperto di tale importanza dal luogo di una strage che ha cambiato la vita del nostro paese non era stato ritenuto degno nemmeno di una relazione di servizio, ma quella borsa conteneva l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino, la scatola nera di quella strage annunciata, e quell’agenda a più di trenta anni di distanza non è ancora venuta alla luce e non potrà venire alla luce, dato che ancora non si è mai svolta la fase dibattimentale di un processo per individuare i mandanti di quel furto.
Questo nonostante più di una volta, all’approssimarsi del 19 luglio, vengano con ampia risonanza della cronaca, eseguite perquisizioni nelle case e negli uffici di persone ormai defunte, come l’allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, o l’allora capo della Procura di Caltanissetta Giovanni Tinebra, persone nelle cui mani forse quell’agenda sarà transitata, ma che in ogni caso, prima di morire, hanno sicuramente provveduto a farla custodire in luoghi più sicuri delle proprie abitazioni come i caveaux nei sotterranei di quei servizi segreti, di cui lo stesso La Barbera faceva parte, e dove quell’Agenda sicuramente, a mio avviso, oggi si trova.
E’ l’esibizione di quell’agenda che avrebbe meritato questa cerimonia in Parlamento alla presenza di tutti i più alti funzionari dello stato e non della borsa che la conteneva, che dovrebbe essere conservata negli archivi del tribunale come corpo di reato di un processo, che dopo più di trenta anni non ancora avuto luogo.
Non pensi la presidente del consiglio Giorgia Meloni che per legittimarsi basti esibire la borsa di Paolo Borsellino o passare nel giorno del suo insediamento sotto la sua gigantografia, ci sono già troppe persone nel nostro paese che hanno dietro la propria scrivania la foto-manifesto di Paolo e Giovanni senza esserne affatto degni.
Non pensino i rappresentanti di questo sistema di potere di legittimarsi ricordando che Paolo avesse idee politiche di destra, si trattava di una destra che con quella oggi al governo che ha scelto di convivere con la mafia, che ha affermato per bocca di un ministro di uno dei suoi primi governi, che con la mafia si può convivere, non ha niente a che fare.
Non pensi la presidente di una commissione parlamentare antimafia, completamente delegittimata dal peso che viene dato al suo interno ai consulenti insediati per le pressioni del generale Mori e dal suo limitare le indagini alla sola strage di Via D’Amelio e ad un fantomatico dossier mafia appalti, che mai avrebbe potuto giustificare l’improvvisa accelerazione di quella strage, di potere riacquistare credibilità con questa squallida esibizione.
Non pensi l’allora maresciallo Carmelo Canale di riacquistare credibilità dopo le sue altalenanti dichiarazioni relative all’incontro di Paolo Borsellino con il Ros nella Caserma Carini, prima attribuite alle indagini di Paolo sull’autore della lettera del Corvo e in seguito, molto in seguito, attribuite al suo interesse per il dossier mafia-appalti.
Egli stesso ammette di avere detto una bugia parlando dell’amicizia di Paolo per Vincenzo Parisi e, come è noto, una bugia tira l’altra, e dovrebbe sapere, quando rivela che Paolo gli avrebbe confidato che avrebbe fatto arrestare il suo capo Pietro Giammanco, che un magistrato non può richiedere l’arresto di un altro magistrato facente parte del suo ufficio.
E dovrebbe anche ricordare, perché è lui stesso ad averlo detto, che Paolo Borsellino gli aveva detto un giorno che nell’Agenda Rossa ce n’era anche per lui.
Quello che più mi dispiace è però che, a questa squallida cerimonia di Stato, abbia presenziato anche il Presidente della Repubblica, perché ho ancora impresso il tragico silenzio con il quale aveva risposto all’appello a lui rivolto dal Coordinamento delle Associazioni dei familiari delle vittime di stragi e di attentati perché non firmasse quel decreto Sicurezza che, con il suo famigerato articolo 31, da ai servizi la facoltà di compiere, protetti dalla legge, tutti quei reati che hanno sempre commesso anche nella preparazione di quella lunga serie di stragi che hanno insanguinato il nostro paese, decreto di cui appena qualche giorno fa, la stessa Corte di Cassazione ha fatto notare le tante deviazioni dai dettati della nostra Costituzione.
nella copertina la foto di via d’Amelio
di Antonino Schilirò
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