«Fidatevi dello Stato». L’invito, potente e netto, arriva da Nicola Gratteri, magistrato simbolo della lotta alla criminalità organizzata. Parlando a Sant’Antonio Abate, in pieno territorio camorristico, Gratteri chiede ai cittadini di denunciare chi impone il pizzo. Un messaggio che dovrebbe ispirare fiducia e coraggio.
Ma c’è un problema. E non piccolo: lo Stato, troppo spesso, tradisce proprio chi gli dà fiducia.
Chi denuncia, paga un prezzo altissimo. I testimoni di giustizia sono l’anello più fragile e più eroico del sistema antimafia. Non sono criminali pentiti. Sono cittadini onesti – imprenditori, commercianti, madri e padri – che, trovandosi di fronte al ricatto mafioso, hanno detto “no”. Lo hanno detto alla magistratura, lo hanno detto pubblicamente. E da quel momento hanno iniziato a pagare.
Perché denunciare significa sparire. Scompare la casa. Scompare il lavoro. Scompare la rete sociale. Si entra nel cosiddetto programma di protezione. Un nome che promette molto, ma che spesso mantiene poco.
La grande contraddizione: il coraggio abbandonato. Gratteri chiede fiducia. Ma come si fa a fidarsi di uno Stato che:
- non garantisce un lavoro a chi denuncia?
- lascia mesi senza sostegno economico interi nuclei familiari protetti?
- ignora il disagio psicologico e l’isolamento dei testimoni?
- non punisce chi all’interno delle istituzioni disattende il proprio dovere?
Alcuni sono stati costretti a rinunciare alla protezione, altri sono finiti sotto accusa per “diffamazione” solo per aver raccontato la loro verità.
Denunciare sì, ma con lo Stato dalla parte giusta. L’invito a denunciare non può restare uno slogan da palco. Deve essere accompagnato da una rivoluzione culturale e istituzionale. Servono:
- protezioni reali e durature, non solo burocratiche;
- sostegno psicologico e sociale continuativo;
- misure di reinserimento lavorativo e abitativo efficaci;
- sanzioni per chi non applica la legge in materia di protezione testimoni di giustizia.
Fino a quando lo Stato non garantirà tutto questo, la frase “fidatevi dello Stato” resterà una promessa tradita, e l’eroismo civile dei testimoni di giustizia continuerà a essere un salto nel vuoto.
Luigi Coppola e Gennaro Ciliberto, testimoni di giustizia simbolo dell’antimafia civile, hanno lanciato un appello pubblico al procuratore Nicola Gratteri, invitandolo a un confronto aperto con chi ha denunciato. «Le parole non bastano più – dichiarano – servono atti concreti e un ascolto reale. Gratteri accetti il confronto pubblico con noi e con chi vive ogni giorno le conseguenze del coraggio». Un invito chiaro, che chiede allo Stato di metterci la faccia davanti a chi, per difenderlo, ha perso tutto.
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